Carissimi,
la speranza che qualcuno si faccia finalmente vivo per dare una mano a fare il servizio di trascrizione non è mai abbastanza, mentre io vado riscoprendo la dimensione soprattutto teologica delle omelie di Don Michel, per cui non faccio fatica a trascriverle e meditarle brano per brano, come Don Alessandro ha suggerito la settimana scorsa, come programma della settimana …

Provate almeno a commentare questo post, possibilmente segnalando errori di trascrizione, perché diverse prospettive aiutano una migliore comprensione del testo.

27 Aprile 2020
Ave Maria
Marco.

Letture

At 2, 14. 22-33; Sal 15; 1 Pt 1, 17-21; Lc 24, 13-35.

Questa terza domenica di Pasqua la liturgia ci propone … ci ripropone – perché tutti gli anni ascoltiamo questo brano – l’episodio di questi due discepoli di Emmaus, il giorno stesso della Pasqua: due discepoli che stanno lasciando Gerusalemme e sono in cammino per un villaggio di nome Emmaus.

In cammino, erano … vorrei fermarmi su questa espressione: il cammino; è una categoria importante della Sacra scrittura, in modo particolare nel Nuovo Testamento; stiamo leggendo, durante il tempo Pasquale, brani tratti dal libro degli Atti degli Apostoli come prima lettura, e negli Atti degli Apostoli, uno dei nomi che riceve la comunità dei credenti in Cristo è proprio “la via”: per esempio si dice che San Paolo perseguitava “la via”, o coloro che seguivano quella via, “la Via”

E la vita cristiana, tante volte e giustamente, viene appunto paragonata ad un cammino, che ha un inizio e un termine; e una vita autenticamente cristiana ha inizio in Cristo e termine in Cristo, giacché Cristo è il primo e l’ultimo, l’Alfa e l’Omega, dice il libro dell’apocalisse; Gesù stesso parla di se stesso come, ad esempio, di primo e l’ultimo, l’Alfa e l’Omega.

Inizia da Gesù e va ad approdare in Gesù, e nel mezzo c’è la fatica, come quella che stanno sperimentando questi due discepoli di Emmaus; non tanto una fatica fisica, tutto sommato circa 11 km al giorno, per la gente abituata a camminare di una volta è roba da ragazzi, ma una fatica interiore, una fatica – visto che stiamo parlando di Fede – una fatica nel credere, e loro stanno conoscendo questa fatica e la esprimono.

Il loro viaggio è iniziato con Cristo, dicevo all’inizio: con Cristo, erano discepoli di Cristo, avevano lasciato il villaggio e tutto, hanno incontrato Gesù, da li hanno cominciato un cammino e sono arrivati a Gerusalemme, e pensavano che fosse lì il culmine, la meta.

Dopo assistono agli eventi del Venerdì Santo, sono scossi, delusi, amareggiati, lo si riconosce da questo volto triste che dimostrano e tornano a casa: siamo andati dietro il vento – pensano – e stanno discutendo fra di loro.

Di che cosa discutono? Non è difficile intuire: di tutto ciò che era accaduto, come avevano sperato che quel Gesù, potente in opere e parole – dicono essi stessi di Gesù – che aveva fatto tanti miracoli, che sarebbe uscito vittorioso dalla croce, anzi in croce non sarebbe proprio andato.

Eppure … sono tre giorni … sono accadute: era sconfitta totale! E quindi il loro cammino cambia direzione: tornano indietro, a casa loro.

Se ascoltiamo, leggiamo, questo brano, proprio oggi che stiamo vivendo una situazione che mette a dura prova la nostra fede, non è difficile riconoscerci in queste due discepoli: forse non è un caso che se uno porta un nome, Cleopa, quell’altro è un anonimo, e dietro l’anonimo ci potrebbe essere ognuno di noi; è vero che ci incontriamo poco per via dell’isolamento ma abbiamo il telefono: pensate a tutti gli argomenti delle nostre conversazioni … le nostre discussioni esprimono la nostra amarezza: “… che non finisce più”, “ma non finirà”, “ma secondo me no”, e preghiamo, e abbiamo pregato dall’inizio, però speravamo che dopo una settimana o due il Signore compisse un miracolo: sono passati quasi due mesi, siamo sempre lì … e quasi quasi ci verrebbe da dire “ma noi speravamo che sarebbe venuto con la Pasqua, no? Si diceva … la quaresima la viviamo in quarantena, poi arriverà Pasqua, risuscitiamo tutti … 

E’ arrivata la Pasqua … siamo sempre rinchiusi: non abbiamo neanche potuto celebrare in comunità la Pasqua!

Noi speravamo … ecco allora la tentazione di mollare, (di) tornare alle cose di prima: all’inizio magari qualcuno ha pregato con tanto fervore, cammin facendo, visto che … vedendo anche le immagini in televisione … non è arrivava questo miracolo tanto sospirato … ci siamo rilassati un po’: ma su … ma tanto … sarà quello che sarà … se non ci pensa la natura tanto e siamo tristi

Allora Gesù li raggiunge, zitto zitto … ascolta, poi con una domanda “di che cosa state discutendo?” … e, loro spiegano, e allora Gesù pronuncia questa parola, che suona come un rimprovero «Stolti e duri di cuore», il termine greco dice esattamente “senza cervello”; Ma non avete cervello? Non avete capito nulla! E cominciando da Mosè e da tutti i profeti a spiegargli le scritture, perché tante volte anche noi preghiamo, pensiamo di pregare, ma senza ascoltare la parola: ascoltiamo noi stessi, ma non preghiamo partendo della parola di Dio. E’ vero che nell’antico testamento, e questi due discepoli sicuramente hanno questa idea del messia trionfante, del figlio di Davide che avrebbe liberato Israele, ma la Parola di Dio non parla soltanto di questo Davide rivelatore di questo Salomone trionfante, parla anche del Cristo, che doveva soffrire, prima di arrivare alla risurrezione, ed è quello che è accaduto.

Li per li, spiega, forse non hanno … si hanno capito qualcosa, però proseguono, arrivano, si fermano, invitano Gesù a stare con loro, Gesù accetta, e compie questo gesto che a loro è familiare: probabilmente avevano preso parte all’ultima cena, si dice che erano in dodici, ma nessuno impedisce che ci siano stati altri fra il gruppo dei discepoli che Seguivano Gesù, forse quindi dodici, il fatto sta che «prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi» … la Parola di Dio, e il pane spezzato, il sacramento, che sono due sostegni importanti nel nostro cammino – ritorna la categoria del cammino – c’e la parola di Dio, c’è il sacramento: la parola di Dio in questo tempo di quarantena la possiamo anche prendere, leggere e meditare, ma a voi – a me sicuramente manca – tutti i giorni celebro la Messa, ma un conto è celebrare la Messa da solo, sapendo che la celebro anche a nome di tutta la comunità, un conto è celebrare la Messa con la comunità riunita.

Non manca la Messa, perché la parola di Dio, che poi leggiamo e meditiamo, spiega tutti i suoi sensi all’interno di una celebrazione: non esiste un Sacramento della Chiesa che non sia fatto da una parola e da un gesto, «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?»., la parola e il gesto, il gesto e la parola.

Se li separi, se li prendi separatamente, non capisci niente; messi insieme, si capiscono e dal gesto dello spezzare il pane … ecco allora che si ricordano, “ma non ardeva il nostro cuore dentro di noi quando ci spiegava le scritture”: capiscono le scritture, grazie proprio all’eucarestia, che – dicevo – ci manca, mi manca, e penso che manchi a tutti … a tutti noi; è vero, virtualmente, con i mezzi che ci sono, si segue tutti i giorni, c’è il Papa che si dà da fare, ma … anche il Papa stesso lo ha detto, non abituiamoci, la fede non è virtuale.

Si, è un sostegno che ci da, meglio di niente, ma non è l’ideale; e arrivo al terzo punto e concludo, che è la comunità.

L’importanza della comunità: la parola, il sacramento, ma tutto celebrato e vissuto in una comunità, quella comunità dalla quale si allontanavano i due di Emmaus, come chi dice “io in Chiesa non ci vado più, tanto quel Gesù non esiste; ho pregato, ho fatto delle Messe, delle novene …”, allora lascia la comunità, e se ne va per altre strade.

Stanno lasciando, a Gerusalemme, la comunità: appena riconoscono Gesù che fanno? Notte, probabilmente loro si erano fermati perché avevano paura di proseguire di notte, e si fa sera;

“Fermati no? vedi che è notte, è buio … i briganti, eccetera” … no, non hanno più paura, tornano indietro nella comunità, a raccontare e a sentir raccontare, e allora la comunità insieme gioisce: davvero il Signore è risorto, dentro una comunità.

Ecco quei tre pilastri che ci sosterranno sempre nel nostro cammino cristiano: la parola di Dio, letta, meditata, spiegata, spiegata da Gesù Risorto, spiegata dallo Spirito Santo, il quale ha ispirato i profeti, ha parlato per mezzo dei Profeti, ma è lo stesso Spirito Santo che è Maestro interiore, che ci aiuta a capire; “Vi manderò un’altro consolatore” – sentiremo fra qualche domenica – “che vi spiegherà tutto”; ma c’è la celebrazione dell’Eucarestia, ma di tanti altri sacramenti.

La parola, il sacramento, e la comunità.

E senza quella comunità, la gioia Cristiana che gioia è? Delle volte mi lamento, quando si entra in chiesa, si comincia a chiacchierare prima della Messa: suona male, ma alla fine … quelle due chiacchiere che si scambiano … fanno arrabbiare il prete, ma il Signore non penso; ci si vede: sa, buongiorno, ma così è successo … e dopo si raccontano le cose … cioè, la celebrazione comunitaria serve anche a questo, e penso che ci manchi, che ci manchi questo ritrovarci, come ci mancano gli affetti nella vita normale; dicevo: il telefono va bene, ma un conto è avere i nipoti a distanza, i figlioli, un conto è ritrovarci, abbracciarci … magari prima ci si abbracciava così, e uno non se ne rendeva conto dell’importanza di un abbraccio di una carezza, ora non si può neanche accarezzare un nipote …

Quindi la comunità, perché l’essere umano è fatto per la comunità, è un essere “relazionale”! Il rapporto con Dio, il rapporto con il prossimo: da lì, soltanto da lì nasce la Gioia, quella vera.


 

Di Marco

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