Carissimi,
se è vero che l’omelia della Domenica dovrebbe essere il centro della settimana spirituale e lavorativa per ogni persona della comunità, quanto più allora l’omelia di un Vescovo che sceglie il territorio della comunità per far arrivare il suo messaggio a tutta la Diocesi in occasione di una ricorrenza, dovrebbe essere oggetto di attenta meditazione, e se possibile di una qualche risposta, sia personale che comunitaria.
Anche a questo può una trascrizione: a poter cogliere meglio il messaggio di un omelia chiara e circostanziata, evidentemente apprezzata anche dalle rappresentanze civili.
La trovate come al solito di seguito, dopo la trascrizione anche della monizione introduttiva, ed il riferimento alle letture del giorno.
1 Maggio 2020
Ave Maria
Marco
Celebriamo questa memoria di San Giuseppe Lavoratore in uno scenario particolare: saremmo dovuti essere a una quota ancora maggiore, nella Cava di Gorfigliano, ma le condizioni del tempo non l’hanno reso possibile; però abbiamo la presenza di tanti elementi simbolici che ci ricordano i cavatori e il loro lavoro: gli elmetti La Madonnina fatta con il marmo delle Cave, questo scenario di montagna; allora vogliamo lasciarci aiutare da questa ambientazione e pregare oggi, con l’intercessione di San Giuseppe, per tutti i lavoratori, e anche con l’intercessione della Vergine Maria, perché tanta gente in questo tempo ho lavorato a casa, non solo nel lavoro casalingo, ma anche dello Smart Working, per cui la casa non solo è la cava, forse più la casa della cava è stato il luogo del lavoro. Ricordiamo allora tutti i lavoratori in questa celebrazione, tutti quelli che guardano con ansia alla ripresa del lavoro, alle difficoltà collegate con le conseguenze economiche dell’epidemia: tutti vogliamo mettere nelle mani del Signore perché il figlio del falegname – come sentiremo nel Vangelo – accompagni tutti a vivere con serenità e con impegno cristiano l’attività’ di lavoro.
Letture: Gn 1,26 – 2,3; Sal 89; Mt 13, 54-58.
La liturgia di questa memoria di San Giuseppe Lavoratore ci ha proposto, nella prima lettura, il primo racconto della creazione: siamo al primo capitolo della Genesi.
In questo racconto Dio stesso appare come un lavoratore: colui che compie in sei giorni l’opera straordinaria e completa della creazione, e che il settimo giorno porta a compimento il lavoro nel riposo.
Interessante questa idea della Genesi: Dio porta a compimento la sua opera nel settimo giorno, quando, cessando da ogni sua fatica, si riposa; e allora questa dialettica tra il tempo del lavoro – della creazione per Dio, della trasformazione del mondo, del dominio sul mondo per l’uomo – e il tempo del riposo, ci induce a una prima riflessione su questa celebrazione del primo maggio, alla luce della memoria di San Giuseppe Lavoratore, e cioè la riflessione è questa: l’uomo condivide con Dio la vocazione al lavoro.
Dio opera – dice Gesù – il Padre mio sempre opera, e anche l’uomo è chiamato ad operare, è posto nel creato perché vi operi, perché lo domini, perché lo orienti, perché lo trasformi; nel secondo racconto della creazione sono usati due verbi che anche Papa Francesco ha ripreso nella “Laudato si“: perché lo coltivi e lo custodisca.
Dio affida all’uomo la sua creazione perché in qualche maniera l’attività di coltivazione di custodia la porti a compimento: la creazione della Genesi non è presentata come un lavoro compiuto, è presentata con un lavoro che Dio realizza, e che affida la sua creatura all’uomo, perché in qualche maniera metta anche lui la sua impronta, metta anche lui l’esito della propria attività a plasmare questo universo che gli è stato consegnato nelle mani.
Allora … essere lavoratori non era solamente una necessità: questi giorni abbiamo molto parlato, sui giornali, delle necessità di riprendere l’attività economica, perché giustamente l’uomo ha bisogno di guadagnare, di produrre, per sostentarsi … e c’è molta ansia rispetto alle difficoltà che saranno collegate alla ripresa del lavoro; qualcuno non lavorerà, qualcuno lavorerà in maniera più precaria, per cui sicuramente il lavoro è uno strumento funzionale alla vita, ma prima di tutto la Genesi ci presenta il lavoro come una vocazione: cioè l’uomo, senza far niente, non può stare, e questi giorni in cui ha tanti è mancato il lavoro forse abbiamo fatto l’esperienza che fare qualcosa non serve solo guadagnare, ma serve ad esprimere questa vocazione profonda che ci abita; noi siamo chiamati a fare qualcosa, siamo chiamati a lasciare la nostra impronta in questo mondo dove siamo stati collocati.
Questa vocazione, in qualche maniera rappresenta l’essere fatti a immagine e somiglianza di questo Dio lavoratore, di questo Dio che costantemente opera nel mondo, e che ha consegnato la sua creazione nelle mani dell’uomo.
Allora riprendere il lavoro, ritornare ad operare, non è solamente una necessità economica ma è restituire alle persone la loro più profonda dignità: l’uomo che non fa niente, non è solamente mancante di stipendio; magari oggi si parla di sussidi, per cui qualcosina per la sussistenza arriverà comunque, speriamo anche chi non fa niente, che non morirà di fame; però il non fare niente è una mancanza profonda: dice che è impedita, a quella persona, la pratica della sua vocazione più vera, l’essere manipolatore, trasformatore della realtà, secondo il progetto di Dio.
La vocazione al lavoro ci appartiene profondamente: quanti sono i lavori che l’uomo compie? Oggi siamo qui, sotto le cave di marmo: un lavoro duro e impegnativo, rischioso, direi anche in un rapporto dialettico non sempre semplice con l’ambiente, ma c’è anche il lavoro di casa; ricordavo questi giorni, abbiamo tutti vissuto dentro casa e abbiamo apprezzato il lavoro che tutti i giorni, soprattutto le donne fanno a casa: la cura di questo ambiente dove l’uomo si colloca e dove oggi abbiamo espletato tante attività, legate anche a chi ha lavorato da casa con gli strumenti informatici, a chi da casa ha studiato, da casa ha dato gli esami.
Ecco … allora, sono tante le forme di lavoro, e potremmo dire che qualcosa tutti devono fare e in tutti i lavori c’è una dignità, perché ogni lavoro esprime questa vocazione che ci rende simili a Dio; non c’è un lavoro che non vale, non c’è un lavoro che non è dignitoso: ogni lavoro, se è fatto nel rispetto dell’uomo e della persona, anche se non è prestigioso, anche se è semplice, anche se è nascosto, però esprime la dignità che ci rende simili al nostro creatore, che sempre opera, e che condivide con noi la vocazione al lavoro.
E anche Gesù è stato un lavoratore: avete sentito nel Vangelo, quando lui parla a Nazaret, “Ma non è il figlio del falegname? Non è uno che ha lavorato con noi?” Non è uno che ha fatto un lavoro manuale insieme con la maggior parte della gente del suo tempo?
Per cui, nella sua incarnazione, il figlio di Dio ha voluto condividere anche questa dimensione, così importante, della nostra vita che è la vocazione al lavoro, anzi potremmo dire che è stato più lavoratore che non predicatore: secondo il Vangelo di Giovanni Gesù ha predicato tre anni, molti di più nella lavorati, molti di più ne ha spesi nella bottega paterna a lavorare il legno oppure in giro per i cantieri a costruire travi e capriate, quindi è stato molto più lavoratore che non predicatore, questo dirà pur qualcosa della dignità del lavoro, della vocazione dell’uomo ad operare con le sue mani dentro la storia.
Però vi dicevo che questo racconto della Genesi parla anche del riposo, parla anche di questo Dio che completa il lavoro riposandosi: questo è interessante, il riposo non è un’alternativa al lavoro, ma ne è il completamento, perché l’uomo contempla come Dio l’opera delle sue mani e dice: “questa è una cosa buona”; cioè, fa parte del lavoro la possibilità di valutarlo, di considerarlo, di contemplarlo per riconoscerne la bontà o la non bontà
Dio fa tutto bene: può dire che ogni opera delle sue mani è cosa buona; non sempre non possiamo dire lo stesso del lavoro dell’uomo, che non sempre è buono, non sempre è dignitoso, non sempre è giusto, non sempre è rispettoso dell’ambiente e delle persone.
Allora il tempo del riposo non è solamente il tempo della vacanza – questi giorni abbiamo fatto riposo senza fare vacanza – ma il tempo in cui riflettere sul lavoro, guardare il lavoro per dire “è stato un lavoro buono”, “è un lavoro dignitoso”, “è un lavoro rispettoso”, e in questi giorni tanti hanno detto “bisogna ripensare il lavoro, perché il lavoro di prima non sempre era equo, non sempre era solidale, non sempre era rispettoso dell’ambiente e delle persone”.
Allora questo tempo in cui abbiamo riposato – forzatamente – ma abbiamo riposato è stato un tempo in cui, come Dio, abbiamo guardato al lavoro per giudicarlo, riconoscendo le cose buone, ma anche accorgendoci che qualcosa deve cambiare, perché non è buono, perché non è perfetto, perché non esprime fino in fondo la dignità l’uomo e la sua custodia della casa comune che Dio gli ha affidato, che affidato alla sua responsabilità.
Allora questa dialettica tra lavoro e riposo ci è essenziale: l’uomo è chiamato al lavoro, ma non come una bestia; l’uomo è chiamato al lavoro come un essere che del suo lavoro è responsabile e che deve renderlo sempre più simile al buon lavoro di Dio: avete sentito che nella creazione tutti sono vegetariani, l’uomo mangia l’erba verde, i frutti della Terra, e anche gli animali, non c’è conflitto.
Ovviamente questa è una espressione simbolica ,però per esprimere l’armonia: gli esseri viventi non sono in contrapposizione tra di loro, sono invece tutti quanti chiamati a nutrirsi dei frutti della Terra, e non c’è nessuno che uccide l’altro per cibarsene.
È interessante questa cosa: la creazione di Dio è chiamata all’armonia, le creature sono chiamate all’armonia, non alla sopraffazione, e molto spesso il lavoro invece quante forme di sopraffazione e di ingiustizia produce nel mondo.
Allora noi oggi accogliendo sotto il patrocinio del lavoratore Giuseppe, del lavoratore Gesù, della lavoratrice di casa Maria, accogliendo questo invito della Chiesa a riflettere sul lavoro, riconosciamo che abbiamo dentro di noi questa vocazione a fare qualcosa, ma a fare qualcosa di buono, e su questo aggettivo, di cui lavoro ha bisogno, non possiamo mai abbassare la guardia: l’uomo ha sempre bisogno di domandarsi se il suo lavoro è buono, se la sua attività e buona, se quello che costruisce è buono, perché se non se lo domanda allora si allontana da questo Dio che non solo lavora, ma anche riposa, per dire che tutto è buono quello che ha fatto con le sue mani, con la sua Parola creatrice.
Affidiamo allora al Signore tutti lavoratori, perché davvero possano svolgere ciascuno la sua attività con quella dignità e quella responsabilità che gli appartengono, e perché ciascuno non si accontenti di fare, ma si domandi sempre se quello che fa è davvero buono, per se, per gli altri, e per questo splendido mondo che il Signore ci ha messo nelle mani.